Pandemia: spunti di riflessione per non farsi contagiare dal marasma virale

Il testo che segue si propone di riflettere a partire da alcune questioni che in apparenza potrebbero risultare slegate le une dalle altre, ma se considerate nel loro insieme fanno emergere una lettura generale dei fatti che stanno gioco forza turbando la quotidianità di ogni individuo. L’intento di questo scritto non si propone nulla se non esprimere un punto di vista critico e di parte sulla situazione eccezionale che ci troviamo a vivere. Lo spirito che ha messo in moto tali riflessioni è dettato dal rifiuto di rimanere fermi dinanzi al precipitare degli eventi. Nell’epoca della comunicazione globale, dove informazione e disinformazione viaggiano alla velocità della luce, ci sembra opportuno dire la nostra nel tentativo di spostare anche solo di un centimetro l’asse del dibattito e portarlo su problemi concreti di importanza collettiva, attorno ai quali una presa di posizione ci sembra più che necessaria. Per prima cosa, ci preme prendere le distanze dalla patetica retorica nazionale che ci vorrebbe compatti di fronte alla gravità dei fatti cui stiamo assistendo: #iorestoacasa piuttosto che #cambiastiledivita sono a tutti gli effetti slogan ipocriti e privi di coerenza. La realtà è che non siamo tutti uniti “sulla stessa barca”, ciò che dimostra la pandemia in corso è il carattere classista con cui lo Stato sta gestendo l’emergenza. Il coronavirus mostra all’ennesima potenza quanto sia marcio l’attuale sistema sociale, facendone venire a galla le disuguaglianze, le ingiustizie e le contraddizioni che inevitabilmente regolano la società capitalista. L’unica cosa da salvaguardare sono gli interessi dei ricchi a discapito della maggioranza sempre più stretta dal giogo dello sfruttamento sia esso sul posto di lavoro, nelle patrie galere e in ogni contesto distrutto da anni eanni di scelte sottomesse alle logiche del dio denaro.
L’unica sicurezza è la libertà
Le misure preventive al “coronavirus” disposte all’interno delle carceri italiane hanno suscitato rivolte, evasioni, decine di persone sono salite sui tetti per rivendicare il rispetto di diritti basilari, mentre numerose sono state le mobilitazioni di cui si sono fatti portavoce direttamente i prigionieri. Il bilancio di due giorni di lotta è di 12 vittime, morti avvenute in circostanze per così dire poco chiare. Nella maggior parte dei casi si parla di decessi per “overdose” da farmaci e metadone, la verità è che non è dato sapere come siano realmente andate le cose. A far scoppiare le mobilitazioni in più di 30 carceri da Nord a Sud Italia è stata l’applicazione di provvedimenti restrittivi, che impongo il blocco totale dei colloqui con familiari e la sospensione delle misure alternative al carcere per coloro che ne usufruiscono. Queste decisioni calate dall’alto delle istituzioni sono servite a far montare la rivolta dei prigionieri. Il contesto in cui si sono sviluppate le mobilitazioni è, però, ben più complesso e soltanto chi conosce la realtà del carcere può comprendere di cosa stiamo parlando: sovraffollamento, cibo scarso e di pessima qualità, strutture fatiscenti, acqua fredda e assenza di riscaldamento, ogni richiesta sottoposta al SI oppure al NO dell’amministrazionepenitenziaria. Sono soltanto alcuni esempi di cosa significhi vivere privati della libertà e di conseguenza impossibilitati ad elaborare razionalmente le notizie che circolano (filtrate) dall’esterno delle mura. Nei fatti con questi divieti emergenziali è stato negato all’intera popolazione carceraria l’unico possibile appiglio con il mondo esterno, senza minimamente immaginare che quellospira glio di libertà “in differita” fosse un elemento indispensabile per la sopravvivenza di quest’umanità sommersa. La soluzione più logica e ragionevole sarebbe stata quella di liberare le persone recluse e quindi consentire la sicurezza collettiva. La verità è che si è preferito assecondare una strage di Stato, massacro ancora latente e tutt’altro che concluso dato che migliaia di detenuti sitrovano al momento stipati in celle sovraffollate, senza alcun dispositivo di protezione e con ilrischio effettivo di contrarre il virus in circolazione.
La sicurezza prima del profitto
Altro fronte rovente è quello dei posti di lavoro, esonerati da misure di sicurezza coerenti e obbligatorie fino al 14 marzo, data in cui il governo, di concerto con le parti sociali, ha varato un protocollo condiviso di linee guida rivolte alle imprese per evitare contagi. Protocollo che mira comunque a salvaguardare la produzione e a contenere le mobilitazioni esplose all’interno delle fabbriche di tutta la penisola, dopo che il governo ha emanato il 7 e l’11 marzo pesantissime restrizioni alle libertà di movimento ed aggregazione pur assicurando la continuità produttiva su esplicito dictat di Confindustria. In questo contesto di disorientamento e malessere generalizzato, i lavoratori stanno incrociando le braccia con scioperi spontanei, blocchi e sabotaggi. Ciò avviene nonostante i tentativi dei sindacati confederali di placare gli animi ed evitare la chiusura totale degli impianti, siano essi legati alla produzione piuttosto che distribuzione di merci. Appare chiaro ancora una volta che gli utili dei padroni valgono più della vita di chi lavora. Uscendo per un attimo dal caso specifico e analizzando la situazione a livello complessivo, basta leggere le statistiche ufficiali dell’Inail secondo cui ogni giorno si contano 3 morti sul lavoro e si registra un aumento delle denunce di malattia professionale. Come al solito operai e lavoratori sono carne da macello, forza lavoro da spremere a servizio degli interessi padronali. In ragione di ciò ha ancora senso il motto #siamosullastessabarca o è pura ipocrisia? La risposta ci appare molto semplice, ma a questo punto lasciamo parlare i fatti: è dell’ultim’ora la comunicazione che allo stabilimento F.I.S. di Montecchio Maggiore (VI), industria chimico-farmaceutica, sono stati individuati 2 casi certi di coronavirus trai lavoratori. Nonostante ciò la RSU aziendale denuncia una plateale inadeguatezza delle contromisure dell’azienda per salvaguardare la salute degli altri lavoratori, tanto da dichiarare lo sciopero di 16 ore per lunedì 16 marzo.
Non c’è obbligo di sicurezza per i “difensori” dell’Europa
La mastodontica esercitazione NATO “Defender Europe 2020” non si è fatta scoraggiare nemmeno di fronte alla pandemia del Covid-19. Nelle scorse settimane sono arrivati in Europa migliaia disoldati americani via nave o a bordo di aerei cargo, mentre in alcuni porti in Germania, Olanda e Belgio si è assistito allo sbarco di centinaia di mezzi pesanti provenienti dagli U.S.A. Le unità di militari statunitensi dispiegate sono 20.000, alle quali se ne aggiungono altre 10.000 dalle basi a stelle e strisce dislocate in Europa. 7.000 militari sono, infine, quelli inviati dai paesi Nato. Per quanto riguarda l’Italia, avrebbero dovuto prender parte all’esercitazione i parà della Folgore. Soltanto pochi giorni fa è arrivata comunicazione che l’Italia non parteciperà alla maxi-esercitazione, costretta a scendere dal carrozzone per non far correre ulteriori rischi ai parà impegnati. Ciononostante la macchina organizzativa dell’apparato bellico è tutt’altro che in stato di quiete e fervono i preparativi in vista dei mesi di aprile e maggio, periodo in cui Germania, Polonia e Repubblica Ceca ospiteranno le fasi cruciali di questa imponente operazione militare. Finché scriviamo giunge la notizia (non da ritenersi una vittoria!) che la più grande esercitazione dalla fine della guerra fredda ad oggi sarà soggetta a ridimensionamenti, in seguito ai campanelli d’allarme scattati per l’emergenza sanitaria. Non significa che l’addestramento verrà annullato, ma siparla semplicemente di rimodulare il numero di militari negli spostamenti da un continente all’altro. Nonostante questo, sono svariati gli episodi apparentemente irrisori che testimoniano movimenti di uomini e mezzi anche in Italia, nonostante i veti dell’emergenza. Proprio pochi giorni fa sono stativisti sfilare decine di mezzi militari nel quartiere di Veronella (VR), tanto che gli abitanti della città scaligera, preoccupati, hanno subito pensato al complotto. Niente da fare: si trattava di mezzi mobilitati proprio a servizio di “Defender Europe 2020”!! Infatti, al di là del ridimensionamento delle manovre, questa ennesima colossale esercitazione transnazionale, ha l’obiettivo dichiarato di testare lo stato della mobilità militare all’interno dei paesi dell’Unione. Nel 2018 la Commissione Europea ha stanziato la bellezza di 30 miliardi di euro per adeguare la rete delle infrastrutture civili come strade, ferrovie, ecc. agli standard di circolazione militari, che richiedono una maggiore portata di peso e resistenza per consentire il transito di carrarmati e mezzi blindati ad esempio. Perciò mentre gli stati europei blindano confini e spostamenti per fronteggiare l’epidemia, nei prossimi mesi potremo vedere colonne di mezzi militari circolare indisturbate per mezza Europa con il rischio effettivo di diffondere il contagio. Infatti, il 10 marzo, sul sito web US Army Europe, si ufficializzava la notizia che il comandante delle forze armate statunitensi stanziate in Europa, il generale Christopher G. Cavoli, assieme ad alcuni membri del suo staff, è risultato positivo al tampone del COVID-19.
Il sistema sanitario sull’orlo del collasso: tra tagli e privatizzazioni
Qualche cifra aiuta a comprendere lo stato in cui versano i servizi sanitari pubblici, al punto tale che anche una regione “ricca” come il Veneto sta manifestando tutta la sua fragilità. Per arrivare a questo punto ci sono voluti decenni di politiche distruttive fatte di privatizzazioni, chiusure di ospedali, diminuzione dei posti letto, privilegio delle prestazioni private al posto di quelle pubbliche, esternalizzazione dei servizi (vedi mense e cucine) e accorpamento dei laboratori analisi. In Veneto il grande progetto di riorganizzazione della sanità pubblica di cui è artefice il leghista Luca Zaia si chiama “Azienda Zero”, a riprova del fatto che la salute delle persone è mera questione economica e in quanto tale deve essere trattata in termini aziendali. A livello nazionale, negli ultimi 10 anni, sono passati in sordina tagli per 37 miliardi di euro alla sanità pubblica e con essi la perditadi oltre 70.000 posti letto, 359 reparti chiusi, senza contare le strutture ospedaliere territoriali chiuse per essere lasciate in stato di abbandono. Tutto questo ha pesanti ripercussioni sulla salute pubblica a prescindere dall’epidemia in corso. Se caliamo questi dati nella concretezza del contesto in cuiviviamo, la situazione appare drammatica. Ogni anno sono decine di migliaia i decessi provocati da patologie legate all’inquinamento atmosferico. Una vera e propria piaga che pesa fortemente sulla sanità pubblica assorbendo una quantità di risorse stimabili attorno ai 20 milioni di euro l’anno. Il Veneto poi, sta facendo scuola per quanto riguarda gli effetti delle sostanze perfluoroalchiliche (PFAS), sull’organismo umano. Sono centinaia di migliaia le persone che risultano avere elevate concentrazioni di questi composti nel sangue e che soffrono di una vasta gamma di patologie legate a questo tipo di sostanze. Questa situazione già critica è ulteriormente aggravata dalla nuova epidemia in corso ed è il frutto avvelenato dell’attuale sistema produttivo il quale può disporre a piacimento dei fattori ambientali come suolo, aria ed acqua che vengono sfruttati e deteriorati all’interno dei processi produttivi con ripercussioni pesantissime sulla vita umana e non solo.
Limitare i costi, assicurare i profitti

Mentre scriviamo si attende l’uscita della prossima manovra del governo a sostegno dell’economia, prevista entro il 16 marzo. Si parla di misure di carattere fiscale e contributivo come la sospensione del pagamento di oneri e scadenze, oltre che della messa a disposizione di differenti tipologie di ammortizzatori sociali in sostegno di malati, famiglie e aziende. Dalle indiscrezioni trapelate e in base alla linea fin qui seguita dal governo possiamo avanzare delle prime generiche considerazioni. Appare infatti chiaro che il rallentamento e la chiusura di parecchi settori, in primis quello turistico-alberghiero e della ristorazione e dell’intrattenimento, stanno facendo perdere migliaia di posti dilavoro. Parliamo del lavoro intermittente, precario e poco garantito, oltre che delle partite ivaindividuali e simili. Mentre l’epidemia miete posti di lavoro si da la possibilità alle aziende di esternalizzare i costi della forza lavoro inquadrata con contratti più solidi attraverso il ricorso alla cassa integrazione ed a tutti quegli ammortizzatori sociali pagati con soldi pubblici e quindi, ancora una volta, con le tasse dei lavoratori. Contemporaneamente si prevede di equiparare la quarantena alla malattia con oneri direttamente a carico dello stato piuttosto che di Inps ed aziende. Al solito i contraccolpi di questa ennesima emergenza si ripercuotono soprattutto sulle fasce più deboli e sfruttate del mondo del lavoro, mentre i costi della parte datoriale vengono per lo più scaricati sulla collettività. Oltre a ciò, per rilanciare l’economia del paese ed in particolare il settore delle costruzioni, il Ministero delle Infrastrutture e Trasporti sta pianificando il commissariamento 25 grandi opere strategiche in modo da snellire le “lungaggini burocratiche” come le verifiche ambientali ecc. e procedere a spron battuto con i cantieri, per il maggior profitto delle lobby del cemento e delmattone.

Note conclusive
Tracciare una linea e mettere in fila differenti punti di vista fa emergere un quadro scomposto, ma i cui elementi non sono slegati tra loro. La crisi che stiamo osservando in questi giorni è complessiva e coinvolge differenti settori, per alcuni dei quali le mobilitazioni in corso stanno aprendo nuovi scenari in termini di rivendicazioni e necessità di conquistare qualche piccolo spazio vitale. Siamo consapevoli di essere di fronte a un passaggio epocale, che porterà dei cambiamenti nel nostro modo di stare al mondo e concepirne il funzionamento. A fronte della cancellazione repentina di alcune delle libertà individuali e collettive che davamo per scontate, come la libera mobilità e la libera aggregazione, si è assistito ad altrettanto repentine reazioni da parte delle fasce sociali più vulnerabili ed esposte ai pericoli ed ai contraccolpi dell’epidemia come i detenuti ed i lavoratori salariati. Nel mezzo del marasma virale, tentare un’analisi embrionale di ciò che si prospetta dinnanzi a noi può essere utile per osservare il processo che, seppur lentamente, dimostra che è in corso un movimento. Verso dove si stia andando è ancora presto per poterlo giudicare, ciò non toglie che già si percepiscano delle possibilità di emancipazione, ma anche dei paurosi arretramenti delle libertà e dei diritti di ognuno. Il verso che prenderanno gli eventi in futuro, dipenderà per molti aspetti dalla nostra capacità di interpretare ciò che accade oggi attorno a noi e di schierarci.

CI VOGLIONO SERVI, ISOLATI ED IMPAURITI!

RIFIUTIAMO IL COPRIFUOCO!

SCIOPERIAMO E SABOTIAMO LA PRODUZIONE!

DISTRUGGIAMO OGNI GABBIA!

Marzo 2020,da qualche parte nel Nord est