L’Incendio alla Futura srl di Montebello, il traffico di rifiuti al Nord e il virus chiamato capitalismo

Giovedì 02 Aprile, siamo nel pieno del lockdown imposto dal governo per fronteggiare l’emergenza del “coronavirus”. Nonostante i divieti sono molte le fabbriche che lavorano ancora avendo fatto ricorso alla deroga prefettizia. Attorno alle ore 19.30 in via Lungochiampo, nella zona industriale di Montorso Vicentino (VI), scoppia un terribile incendio; la colonna di fumo sprigionata dal rogo è visibile a chilometri di distanza.

A bruciare è una parte dello stabilimento della Futura srl, azienda vicentina che si occupa di trattamento e smaltimento rifiuti. Il nome dell’azienda non è nuovo alle cronache. Infatti, nel 2015, la vecchia proprietà della Futura srl viene coinvolta nell’inchiesta sulla multiutility veneziana Veritas, riguardante un giro di tangenti attorno agli appalti per il trattamento dei rifiuti del capoluogo veneto. Pochi anni dopo, nel 2018, il nome del vecchio proprietario e fondatore della Futura srl: Denis Baldan, compare in una nuova inchiesta per traffico illecito di rifiuti aggravato dal metodo mafioso, che scoperchia la rete del faccendiere Carlo Savoia, imprenditore campano vicino al clan dei Casalesi.

In seguito a questi torbidi trascorsi, il 31 maggio dello scorso anno la Futura srl viene rilevata da Clemente Meoli, imprenditore di origini bergamasche che conclude l’affare acquistando le quote di maggioranza (20 quote da 1000 franchi svizzeri) della Ceramari s.a.g.l., società di diritto svizzera ufficialmente attiva nel commercio di abbigliamento, la cui attuale sede legale coincide con l’indirizzo di una nota società di consulenza fiscale di Lugano, presso la quale sono registrate altre 26 società attive.

Stando a quanto riferito dallo stesso Meoli durante un’intervista ad un quotidiano locale, la partenza con la nuova attività è stata tutta in salita a causa delle inchieste pendenti sulla vecchia dirigenza aziendale, che avrebbero precluso qualsiasi accesso al credito bancario. Inchieste di cui lo stesso Meoli si dice all’oscuro al momento dell’acquisto, tanto che gli è toccato contribuire di tasca propria all’aumento di capitale del gruppo Futura, con un investimento di ben 3 milioni di euro.

Un sacrificio che però sembra aver dato i suoi frutti visto che Futura chiude il 2019 con 19 milioni di fatturato. Un obbiettivo raggiunto anche grazie al team messo su da Clemente, che alla veneranda età di 74 anni ha coinvolto nell’attività anche il fratello Claudio ed il giovane figlio Matteo. Quest’ultimo, a dispetto dell’età, sembra già essere un amministratore piuttosto navigato. Ad una rapida ricerca sul web, il nome Matteo Meoli compare connesso a diverse aziende attive nel settore immobiliare, alcune delle quali in qualche modo legate a personaggi della malavita calabrese. In tutti i casi risulta difficile asserire con certezza che si stia parlando del delfino del facoltoso imprenditore bergamasco piuttosto che di semplici casi di omonimia. Rimane comunque il fatto che questa serie di passaggi di mano, di cospicue ricapitalizzazioni per aziende acquisite a costi irrisori e di “assonanze” più o meno fortuite, gettano qualche ombra sull’azienda di Montorso, in particolare dopo l’incendio della scorsa settimana.

Il disastroso incendio sembra riproporre un copione fin troppo frequente nel settore dei rifiuti in Veneto. Purtroppo gli esempi non mancano: risale al 16 marzo scorso l’incendio di un altro stabilimento per il trattamento di rifiuti a Belfiore, nel veronese, mentre nel novembre dello scorso anno, veniva sequestrato a Fossalta (VE), un capannone pieno di rifiuti con inneschi fatti di sacchi di pallets e benzina, già pronti per far divampare le fiamme. La casistica dei roghi di rifiuti in Veneto non lascia dubbi: dal 2008 ad oggi, si contano ben 47 incendi con un’impennata a partire dal 2015. Dati preoccupanti che evidenziano l’importanza assunta dal fenomeno del traffico e dello smaltimento illecito di rifiuti nella nostra regione ma che chiamano in causa anche un fattore strutturale dell’intero comparto produttivo e industriale.

Qualsiasi sia il settore, l’attuale sistema produttivo non può esimersi dal produrre scorie e nocività in quantità equiparabili o maggiori alle merci, né di sfruttare fattori ambientali come il suolo, l’aria o l’acqua, all’interno dei cicli produttivi, determinandone il depauperamento. Allo stato attuale le capacità produttive hanno raggiunto livelli tali da saturare non solo i mercati ma anche i luoghi destinati allo stoccaggio delle nocività. Per questo i rifiuti stessi oggi divengono merci, trattati in appositi cicli produttivi con tecnologie sviluppate ad hoc; il progetto del gassificatore dei fanghi conciari del distretto di Arzignano ne è un esempio. Da qui le fortune del commercio e dello smaltimento illecito dei rifiuti.

Non solo, eventi catastrofici come incendi o fuoriuscite di materiali tossici sono tranquillamente messi in conto trai rischi del ciclo di lavorazione di molte aziende, come quelle del comparto chimico-conciario attive nell’ovest-vicentino. È esemplare in questo senso il caso della Isello Vernici di Brendola, completamente bruciata nel terribile incendio del luglio scorso. In quel caso per giorni, la popolazione residente tra Brendola e Vicenza è stata invitata a rimanere chiusa in casa e gli eventi all’aperto nell’area interessata dalla nube sprigionata dal rogo sono stati annullati, dandoci un piccolissimo assaggio di quanto sarebbe poi accaduto con l’odierna quarantena di massa. Ma gli esempi in tal senso si sprecano: dalla contaminazione delle falde acquifere da Pfas causata dalla Miteni di Trissino, agli sversamenti della Tricom Galvanica di Tezze sul Brenta, emergono sempre più plateali e stridenti le contraddizioni tra il sistema produttivo attuale e la salute umana e dell’ecosistema, inteso come l’insieme degli organismi viventi e dell’ambiente che li ospita. Questo sistema produttivo macina profitti per pochi, sfruttando e avvelenando non solo operai e lavoratori impiegati nei settori o nelle mansioni più nocive, ma interi territori e popolazioni.

Oggi, con l’incombere di una nuova crisi economica dovuta all’imperversare dell’epidemia, è più che mai indispensabile una presa di coscienza collettiva affinché gli effetti della recessione non vengano scaricati interamente su di noi, erodendo ulteriormente garanzie e salari ed aumentando lo sfruttamento del lavoro e dei fattori ambientali (per rilanciare il settore delle costruzioni il governo ha già commissariato 25 grandi opere pubbliche). È il momento di prendere coscienza del fatto che i profitti di lor signori vengono realizzati sulla pelle e sulla salute di tutti, nessuno escluso. È tempo di rovesciare i rapporti di potere che innervano questo sistema produttivo insostenibile e fallimentare, mettendo la salute e la vita, prima del profitto.