La guerra sul corpo delle donne

La guerra sul corpo delle donne.

Verso l’8 marzo sono molte le occasioni per parlare di oppressione di genere e violenza sul corpo delle donne.

Che a farlo si metta anche il Centro di Eccellenza per le Unità di Polizia di Stabilità (Coespu), con sede a Vicenza presso la caserma dei Carabinieri “Chinotto”, fa sorgere alcune doverose perplessità.

Di cosa stiamo parlando?

A fine febbraio si è aperta la nona edizione del corso intitolato “Protezione di genere nelle operazioni di pace”. Due settimane di training in cui vengono studiate dottrine e linee guida in accordo con le Nazioni Unite.

Obiettivo principale della formazione è la protezione di categorie definite “vulnerabili”, vale a dire donne e bambini, in contesti di crisi o zone post conflitto bellico. Negli intenti, il fine ultimo vorrebbe essere quello di proteggere e prevenire la violenza di genere, così come la violenza sessuale nei confronti delle donne e gli abusi sui minori.

Tra i partecipanti sono coinvolti 27 paesi: Bangladesh, Benin, Bhutan, Cameroon, Fiji, Ghana, Indonesia, Jordan, Kenya, Malaysia, Mali, Nepal, Rwanda, Ukraine.

Cosa si nasconde dietro a queste “belle” parole?

Negli scenari di guerra, laddove la devastazione e il saccheggio dei territori va di pari passo con l’oppressione e lo sfruttamento delle popolazioni locali, anche il corpo delle donne viene fatto “terreno di conquista”. A compiere stupri e abusi sessuali sono spesso militari di eserciti nazionali impegnati a difendere interessi coloniali, piuttosto che Caschi Blu che per conto delle stesse Nazioni Unite vanno a portare “pace” e “stabilità” dove regna il disordine.

Un armadio ricco di scheletri rimasto all’oscuro fintanto che il sistema retto su un castello di omertà si è sgretolato per lasciare posto a un lungo elenco di denunce.

Somalia, Haiti, Repubblica Centrafricana, Bosnia, Kosovo, Cambogia, Timor Est, Burundi, Africa Occidentale, Repubblica democratica del Congo sono tutti paesi con documentati episodi di violenze a danno di donne e minori.

Coprire le macchie dove si è sparso del sangue e quindi tentare di ripulirsi la faccia è ciò che stanno facendo le Nazioni Unite attraverso campagne per affrontare le sopraffazioni di genere da parte del personale delle Nazioni Unite e delle forze di mantenimento della “pace” nel mondo.

L’imperialismo selvaggio che negli anni ha seminato guerre ovunque ha i suoi complici e conta tra i collaboratori anche il Coespu di Vicenza. Quest’ultimo il 1 marzo 2019 ha celebrato il quattordicesimo anniversario della sua fondazione.

Una storia breve, ma intensa: 14 anni di vita in cui sono stati formati 11.668 militari provenienti da 118 paesi, comprese 17 organizzazioni internazionali. Il Coespu è una scuola di polizia internazionale che addestra militari e cosiddetti peace-keepers, coloro che esportano democrazia sganciando bombe “umanitarie”. Un centro di eccellenza in cui la guerra viene studiata, insegnata e applicata sul campo. Le responsabilità che gravano su questa struttura militare sono numerose e vanno ricercate nelle guerre condotte per procura in Medio Oriente oppure in Africa dove le polizie locali vengono addestrate per bloccare l’immigrazione e contenerla nei lager che stanno sorgendo su tutto il continente grazie ai finanziamenti europei. E’ all’interno di questa struttura che le polizie di stabilità imparano tecniche di gestione dell’ordine pubblico per prevenire e stroncare sul nascere episodi di ribellione, per meglio sottomettere e dominare gli sfruttati della terra.

In questi giorni, l’attenzione dei training è strumentalmente rivolta a questioni di genere. Dei militari insegnano ai portatori di “pace” come non fare delle donne e del loro corpo un bottino da saccheggiare. Come se fosse possibile rimediare o tornare indietro dopo aver compiuto il danno.

La realtà è che non esistono operazioni di pace, ma solo missioni di guerra e in queste ultime è proprio il corpo delle donne ad avere la peggior sorte!